Baghdad, città senza speranze

5 anni di occupazione

Baghdad, città senza speranze
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19 Marzo 2008 - 11.52


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Cinque anni fa, all”alba, le sirene annunciavano l”inizio dei bombardamenti su Baghdad. Bombe giorno e notte per venti lunghissimi giorni. Un incubo. E poi, dal 9 aprile, con l”occupazione, sarebbe stato l”inferno. Cinque anni e non si vede la fine: i soldati americani che occupano l”Iraq oggi sono più numerosi di quelli che l”hanno invaso nel 2003. La Gran Bretagna non è riuscita a realizzare il ritiro pianificato: a Bassora ci sono ancora 4.000 soldati rispetto ai 2.500 previsti. Senza contare i circa 160.000 contractors appartenenti a 300 società di diversi paesi – il secondo esercito, privato, che gode della più totale impunità. Questo è quanto ribadito anche nell”accordo strategico bilaterale che dovrebbe legare l”Iraq alla protezione statunitense anche per il futuro. Accordo – contestato dai democratici Usa che ne chiedono la discussione al congresso – che darebbe mano libera all”esercito Usa, con il pretesto di proteggere l”Iraq anche da aggressioni esterne. Un accordo capestro non solo per gli iracheni ma anche per il futuro presidente statunitense nel caso decidesse un ritiro dall”Iraq: Bush prima del termine del suo mandato vuole condizionare una qualsiasi « exit strategy ». Dopo aver ammesso non solo che in Iraq non esistevano armi di distruzione di massa ma anche che non c”era nessun legame tra Saddam e al Qaeda, a Bush non resta che far pagare il prezzo della sconfitta anche ai suoi successori, oltre che a tutti gli americani. Sono 4.000 i morti americani sul campo, migliaia i feriti. Intanto in Iraq la ricetta Petraeus comincia a mostrare la corda. Il numero delle vittime della violenza è tornato ad aumentare in febbraio (633 vittime civili contro i 460 di gennaio) e presto la situazione precipiterà se non verrà mantenuta la promessa di reinserire i combattenti dei gruppi sunniti del « sahwa », che hanno combattuto al Qaeda, nell”esercito iracheno. Si tratta per lo più di ex-militari dell”esercito di Saddam che erano stati epurati dal proconsole Bremer quando, al suo arrivo a Baghdad dopo la caduta di Saddam, con una scelta insensata aveva sciolto l”esercito. Questi gruppi sunniti (circa 40.000 uomini) sono stati finanziati e armati da Petraeus per combattere i jihadisti ma nel momento in cui l”accordo dovesse saltare (e tutto lo fa prevedere) riprenderanno a combattere contro gli occupanti. Sono stati loro a riportare un po” di calma in alcuni quartieri di Baghdad, costringendo al Qaeda (diventata un fardello troppo scomodo per la guerriglia) ad abbandonare il terreno e a spostarsi a nord, nella zona di Mosul. Dove il nuovo obiettivo sono i cristiani, che qui si erano concentrati in fuga dal sud. Dunque Petraeus in Iraq è servito solo per prendere tempo, quel tempo che serve a Bush per arrivare alla fine del mandato. Il generale non ha favorito la pace: l”ha ulteriormente allontanata. Il governo corrotto di Nouri al Maliki, tenuto in piedi dagli americani, è sempre più osteggiato dalla popolazione. Ieri Maliki ha incontrato il vicepresidente Dick Cheney in visita a Baghdad e poi ad Arbil (in Kurdistan) per premere per l”approvazione di leggi ancora ferme in parlamento (compresa quella sulla privatizzazione del petrolio). Gli iracheni mettono in dubbio anche la volontà di riconciliazione del premier. La Conferenza sulla riconciliazione, aperta ieri da al Maliki e boicottata dal Fronte della concordia sunnita e dai laici della Lista al Iraqiya – mentre il gruppo del radicale sciita Muqtada al Sadr si è ritirato – è considerata una pura operazione di facciata. Lo scarto tra il potere, le istituzioni e la gente è enorme. In mezzo si trovano le milizie religiose armate che impongono la loro legge e si sostituiscono allo stato. Di fatto l”Iraq è diviso in tre: al sud gli sciiti con le loro milizie seguono il modello iraniano, al nord i kurdi che hanno un governo sempre più autonomo (il presidente Barzani è stato invitato negli Usa da Cheney) e in mezzo i sunniti e la capitale resa irriconoscibile dagli alti muri di cemento che separano i quartieri ripuliti etnicamente. Della zona «sunnita» fa parte per ora anche Kirkuk (dove si produce il 40 per cento del petrolio) rivendicata dai kurdi. Comunque, prima ancora di varare la legge sul petrolio, i kurdi hanno già fatto contratti con compagnie straniere e hanno cominciato lo sfruttamento di pozzi scoperti di recente. Ad accomunare i tre Iraq, la violenza contro le donne: delitti d”onore e matrimoni forzati, rapimenti e stupri, donne uccise perché non portano l”abito islamico. In un paese in cui sono state ridotte anche le razioni di cibo distribuite dal governo e manca il lavoro, molte vedove (e non solo loro) sono costrette alla prostituzione per mantenere i figli. La ricostruzione è ancora una chimera: l”elettricità manca molte ore al giorno, la carenza d”acqua è diventata una vera emergenza, dai rubinetti escono vermi, dei telefoni arrivano solo le bollette ma la rete non funziona. A cinque anni dall”inizio della guerra Baghdad è una città fantasma, irriconoscibile, senza speranza.’

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