L''Italia e il boia'

All''Onu sì al rinnovo missione Iraq'

L''Italia e il boia'
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19 Dicembre 2007 - 11.52


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Il boia non ha una sola faccia e nemmeno una sola mannaia. La battaglia vinta all”Onu per la moratoria sulla pena di morte, promossa dall”Italia, è senza dubbio una vittoria della civiltà contro la barbarie e ce ne rallegriamo. Ma la battaglia per salvare vite umane non si può esaurire con quel voto simbolico. E non è nemmeno necessario uscire dal palazzo di vetro per registrare l”amnesia dell”Italia di fronte a vittime che hanno una fisionomia ben definita, anche se il loro numero è sconosciuto, gli iracheni. Sarà per l”ubriacatura dei nostri governanti di fronte al successo in assemblea che immediatamente dopo al Consiglio di sicurezza l”Italia ha votato a favore del prolungamento di un anno della missione internazionale (occupazione) in Iraq. L”Italia al governo non era forse contro la guerra e l”occupazione e non è per questo che ha ritirato le truppe? Ora scopriamo che però è favorevole all”occupazione americana, proprio nel momento in cui i britannici cedono il controllo di Bassora agli iracheni e la Polonia, altro contingente forte, annuncia il prossimo ritiro. Certo non può trattarsi di una svista e quindi ne chiediamo conto. Eravamo tra quelli contrari alla guerra, che si sono battuti per il ritiro delle truppe e abbiamo plaudito al rientro dei militari italiani, ma eravamo altrettanto convinti che non bastava il ritiro, non si poteva abbandonare l”Iraq nelle mani degli altri occupanti senza porci il problema di un risarcimento del popolo iracheno. Risarcimento vuol dire aiutare gli iracheni nella ricostruzione del loro paese – ma questo non si fa con i carri armati e infatti non si è fatto -, nel proteggere le donne dal fanatismo delle nuove milizie religiose che le uccide perché non portano il velo, nel non isolare un popolo che vive in ostaggio degli occupanti e di chi vuole combattere l”occupazione. E invece se un iracheno, anche profugo in Siria o in Giordania, chiede un visto per partecipare a una iniziativa in Italia (con tanto di invito ufficiale) deve subire un esame a discrezione della nostra diplomazia all”estero. E se i nostri consoli non sono sicuri che tornerà a vivere di stenti in Siria piuttosto che sotto le minacce in Iraq non può nemmeno partire per una settimana, mentre per fare la domanda di visto deve depositare l”equivalente di 60 euro, ovvero uno stipendio mensile se avesse la possibilità di lavorare. Dopo che abbiamo occupato e distrutto il loro paese perché gli iracheni non dovrebbero avere il diritto di restare nel nostro? L”Italia non figura nemmeno tra i paesi disposti ad accogliere iracheni a rischio (per di più donne minacciate di morte) pur con numeri ridicoli, come gli Stati uniti o altri paesi europei.Si può uccidere con la lapidazione, una forca o un”iniezione letale, ma si può anche lasciar morire un popolo sotto l”arroganza di occupanti (e gli iracheni non sono gli unici) o marcire nelle prigioni segrete. Oppure si può morire perché lo sfruttamento non è compatibile con la sicurezza sul lavoro o perché il patriarcato in occidente non riconosce uguale dignità a donne e uomini.’

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