Il governo islamista fra estremismo e moderazione

Le donne di Palestina davanti ad Hamas. Timori e scetticismo sono molto diffusi nell''élite femminile palestinese: ma anche la certezza che il processo democratico deve essere rispettato: chi ha vinto deve provare a governare. L''importante è tener d

Il governo islamista fra estremismo e moderazione
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17 Maggio 2006 - 11.52


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Ragazze con jeans attillatissimi e camicette leggere passeggiano sottobraccio con amiche velate e avvolte in lunghi soprabiti sotto il caldo sole primaverile di Ramallah. Le contraddizioni non mancano ma sembrano convivere senza troppi contrasti. La città, che fa funzioni di capitale finché Gerusalemme est resterà sotto il tallone di Israele, è considerata la più liberale della Palestina. E per questo, secondo i nuovi governanti di Hamas, deve essere reislamizzata. Non sarà facile cancellarne la vivacità culturale e la laicità, per imporvi i costumi già in vigore a Gaza, o in città conservatrici come Hebron.Hamas è al governo da poco più di un mese e per ora le imposizioni più traumatiche vengono dall”esterno: la decisione della comunità internazionale di boicottare il goveno islamista. Che ha evidenti e drammatiche ripercussioni su tutta la popolazione, già debilitata dalla feroce occupazione e dalla frustrazione per il mancato avanzamento del processo di pace. Forse il boicottaggio sarà in parte aggirato attraverso la consegna degli aiuti al presidente Abu Mazen invece che al governo islamista, ma questa ipocrisia rafforza la frustrazione dei palestinesi, che si sentono privati di qualsiasi spazio di sovranità.«Le elezioni sono state democratiche, trasparenti e quindi occorre rispettarle», sostiene Zahira Kamal, già ministra degli affari delle donne che con la vittoria di Hamas ha perso il suo incarico. Continua però a lavorare nello stesso palazzo: dal sesto piano è scesa al primo, dove ha sede un centro di ricerca dell”Unesco che adesso dirige. E per Zahira Kamal, che ha lavorato e continua a lavorare per affermare i diritti delle donne, non dev”essere facile accettare un governo islamista che rischia di distruggere molto di ciò che le donne palestinesi stavano costruendo.Il boicottaggio internazionale raggiunge l”effetto opposto: rafforza gli islamisti di Hamas. «È già successo durante la campagna elettorale: quando gli Stati uniti hanno cominciato a dire di non votare Hamas, il sentimento antiamericano ha trovato un ulteriore modo per esprimersi», dice Mohammed, uno studente di Bir Zeit.Un fenomeno interno palestinese«Il sentimento antiamericano si è rafforzato tra la gente negli ultimi due-tre anni, dopo la guerra in Iraq», sostiene Jamil Hilal, un sociologo che vive a Ramallah dal 1995 e che fa parte dell”Istituzione palestinese per lo studio della democrazia. Jalil tuttavia considera Hamas più che altro un fenomeno interno palestinese alimentato dalla frustrazione per la mancanza di soluzioni dopo Oslo e dal fatto che Fatah non è stata in grado di garantire un progresso, anche economico: «due palestinesi su tre vivono al di sotto del livello di povertà con meno di due dollari al giorno» (e il costo della vita è alto in Palestina, ndr), sostiene il sociologo.Se tutti i palestinesi che abbiamo incontrato, di diversi schieramenti dell”opposizione, compresa Fatah, sostengono che bisogna mettere Hamas alla prova di governo e vedere cosa è in grado di fare, lo fanno anche perché pensano che la compagine governativa guidata da Ismail Haniya non durerà; e che comunque, pur essendo un”emanazione dei Fratelli musulmani, l”organizzazione islamista non abbia davvero intenzione di imporre uno stato islamico.I leader di Hamas, dal canto loro, presentano diverse facce del movimento attraverso un doppio linguaggio: estremista per la piazza e moderato per le istituzioni. Quando incontriamo il presidente del parlamento Aziz Dweik, docente di geografia all”università di Nablus e membro di Hamas fin dalla sua fondazione nel 1987, nella sede istituzionale si mostra molto moderato ed estremamente ambiguo. Quando gli chiediamo come procederanno le riforme promesse all”elettorato («riforme e cambiamento» era lo slogan elettorale di Hamas, che ha convinto molti palestinesi anche non islamisti) risponde: «Noi siamo arrivati al potere con elezioni democratiche e non faremo un colpo di stato, il nostro processo sarà graduale, attraverso le leggi accettate dalla società». Ma lo sguardo sembra più rivolto al cielo che alla terra.Il concetto di consenso cui si riferisce Dweik resta inafferrabile e potrebbe essere ottenuto come durante la campagna elettorale: «se non dai il voto a chi è buono sarai punito da Dio» – dove naturalmente i buoni erano loro, e con queste minacce sono riusciti a convincere i più deboli (tra cui molte donne) mentre molti altri, cristiani compresi, hanno votato Hamas per protesta contro la corruzione di Fatah e le concessioni fatte dall”Olp nel processo di pace che non ha mai ottenuto risultati. Inoltre – sostiene la scrittrice Suad Amiri – Hamas ha sempre dipinto i laici come dei «senza dio» e nessuno della sinistra ha spiegato cosa voglia dire la separazione tra potere e religione.«Siamo l”unico paese arabo ad avere realizzato un sistema democratico», dicono i palestinesi con orgoglio: e sono stati ricambiati con l”isolamento. Se per gli analisti palestinesi il voto per Hamas è ascrivibile più alla protesta che al sostegno ideologico, per Fatin Farhat, giovane direttrice del centro culturale Sakakin Center a Ramallah, la società palestinese è diventata più conservatrice a causa dell”assedio israeliano e perché, dopo l”11 settembre, l”islam è sotto attacco. «I palestinesi vengono identificati solo con l”islam e si sentono oppressi; anch”io pur essendo cristiana sento questa oppressione», dice Fatin.Tuttavia, come donna laica, si sente «offesa» dal risultato elettorale. Soprattutto perché finora con il suo centro aveva organizzato molte iniziative culturali a Ramallah per promuovere la cultura palestinese e ora questa attività è messa a rischio dal nuovo ministro della cultura. Atallah Abu al Sibah, un fondamentalista senza background culturale secondo Fatin, ha esordito minacciando censura contro un cinema troppo permissivo e chiedendo la segregazione dei sessi. Molti dei progetti realizzati dal centro Sakakin sono stati realizzati grazie ai finanziamenti internazionali e c”è da sperare che non vengano bloccati dal divieto imposto dagli Stati uniti alle banche di trasferire fondi in Palestina.Sinistra penalizzataLe elezioni non hanno penalizzato solo Fatah ma anche la sinistra – presentatasi divisa in quattro liste – che pur denunciando la corruzione dell”Anp non ha saputo presentarsi come una vera alternativa e ha ottenuto complessivamente solo 9 seggi in parlamento. «La sinistra si è allontanata dalla gente», sostiene Elham Hamad, responsabile della formazione del Ministero degli affari delle donne. «Hamas ha fatto in questi anni il lavoro che negli anni settanta e ottanta facevano i partiti della sinistra, soprattutto il partito comunista, e che hanno abbandonato dopo la costituzione dell”Anp.Convinti che il compito di fornire servizi alla popolazione toccasse all”Anp, sono stati chiusi 700 asili costituiti dai comitati delle donne; anche l”Olp ha trasferito tutti i finanziamenti sul budget dell”Autorità nazionale che ha coperto le spese delle strutture – ospedali e scuole, ma non asili – che prima erano forniti da Israele e per il resto i progetti si sono concentrati sui problemi della democrazia e di genere, mentre i servizi sono venuti a mancare e a fornirli è stata Hamas».Elham ha votato la coalizione di sinistra Badil (di cui fanno parte il Fronte democratico e il Partito comunista) e per ora è rimasta al suo posto. La nuova ministra di Hamas, Mariam Salih, ha detto che continueranno i progetti in corso. Almeno finché ci saranno i soldi (si stanno terminando quelli del bilancio dello scorso anno) e finché non confliggeranno con i principi da lei acquisiti durante i suoi studi sempre dedicati alla sharia. Certo il clima è molto cambiato, dicono le diverse dirigenti che incontriamo. Ma ci sono diverse succursali del ministero degli affari delle donne, come quello di Betlemme, che non sono ancora state contattate. E la prima decisione presa dalla ministra è stata quella di imporre il saluto islamico: il colloquiale «marhaba» dovrà essere sostituito da «al-salam aleikum», anche nella corrispondenza.Per il resto, nel primo incontro con le associazioni di donne, ha detto che difenderà il principio dell”uguaglianza di uomini e donne di fronte alla legge; peccato che la legge non sancisca affatto l”eguaglianza tra uomini e donne (soprattutto per quanto riguarda il codice della famiglia, che prevede: poligamia, tutela dei figli al padre in caso di divorzio, alle donne la metà dell”eredità rispetto ai maschi, mentre la testimonianza di una donna vale la metà di quella di un uomo). Le varie associazioni di donne avevano preparato un progetto di legge per cambiare questo codice, peraltro sostenuto da Fatah e dallo stesso Arafat, ma ora con il nuovo governo è meglio ritardarne la discussione, sostiene Siham Barghouti, presidente della Palestinian Federation of women action. Soprattutto dopo un incontro con il nuovo presidente del parlamento Aziz Dweik per verificarne le intenzioni. Lui tra sorrisi e battute, mentre offriva il te con galanteria, ha garantito che la sharia non si tocca. Quindi la paura di una islamizzazione che hanno molte donne, anche se la costituzione ritiene la sharia solo «una delle fonti» di legge, non è assolutamente infondata. «E le prime vittime saranno le donne, quindi per ora la nostra battaglia è di cercare di salvaguardare i risultati positivi ottenuti», secondo Siham Barghouti.Se tutti gli oppositori del governo sono d”accordo sul lasciar governare Hamas, per evitare una nuova vittoria degli islamisti alle prossime elezioni (che tutti si augurano anticipate) occorre studiare una strategia. Nella sinistra molti temono che Fatah non si ponga il problema e cerchi di forzare i tempi, soprattutto dopo gli scontri che si sono verificati a Gaza. E comunque, «se Fatah torna a governare non cambierà atteggiamento», prevede Jamil Hilal. A Fatah si pone poi un problema di leadership e di democrazia interna. Come sostiene Fadwa Barghouti, avvocata e moglie di Marwan Barghouti, rinchiuso nelle carceri israeliane e condannato a diversi ergastoli.Fadwa aggiunge il problema della democrazia interna a quelli della corruzione di Fatah, della incapacità di garantire sicurezza e sviluppo ai palestinesi. Il motivo? «Per diciassette anni Fatah non ha tenuto un congresso, non c”è stata nessuna elezione della leadership, la nuova generazione tra i 40 e i 50 anni è stata tenuta fuori dalle decisioni e chi era attivo è finito in galera». Ora cosa si può fare? chiediamo. «Fatah deve fare una opposizione costruttiva e deve fare il possibile perché si arrivi al più presto a nuove elezioni: ma attraverso un processo democratico. E soprattutto prima deve espellere tutti i corrotti e organizzare il sesto congresso (che dovrebbe tenersi entro l”anno), come lo stava preparando Marwan: con incontri a livello di base che eleggevano i loro comitati».La soluzione BarghoutiMolti ritengono che la soluzione dell”impasse palestinese possa essere proprio Marwan Barghouti. Si parla di una pressione degli Usa perché venga liberato e della possibilità di uno scambio tra Marwan e Pollard, la spia israeliana detenuta negli Stati uniti. Marwan accetterebbe questa possibilità? «Sicuramente Fatah ha bisogno di Marwan per andare a nuove elezioni, lui è un leader riconosciuto. E potrebbe essere liberato con un accordo perché è stato condannato per fatti che non ha commesso direttamente ma di cui è stato ritenuto responsabile in quanto segretario generale di Fatah. Ma queste voci che vengono fatte circolare, su una possibile liberazione di Marwan grazie a uno scambio, servono solo a gettare cattiva luce su di lui, a farlo apparire come utilizzato dagli Usa in opposizione ad Hamas. Quindi, perché possa essere accettabile, la liberazione di Marwan deve essere determinata dalla situazione politica della regione, che per ora mi sembra difficile», conclude Fadwa.In un albergo di Betlemme militanti di Fatah stanno contando le schede degli iscritti. In attesa del sesto Congresso comunque si cerca di tenere le posizioni nei vari ministeri, approfittando dell”incompetenza degli uomini di Hamas.Mentre in Palestina un confronto tra la prima e la seconda intifada porta molti sulla strada della non violenza – ci sono a Betlemme corsi di formazione a questa cultura, ai quali partecipano giovani di tutte le religioni – e la condanna degli attacchi suicidi è diffusa, per molti le posizioni di Hamas rispetto a Israele sono un falso problema. Intanto perché secondo loro il realismo degli islamisti li porterà ad accettare compromessi e anche perché, dicono in molti, se hanno partecipato alle elezioni e governano, vuol dire che di fatto hanno accettato gli accordi firmati dall”Olp.L”Anp è una emanazione dell”Olp e mi mostrano come sull”edificio che ospita il ministero delle donne al primo posto compare l”Organizzazione per la liberazione della Palestina, al secondo l”Autorità nazionale e poi il ministero. Peccato che nel frattempo l”Olp sia stata di fatto congelata, sostiene Ahmed, militante comunista; e poi Hamas non ne fa parte. E quando sottolineiamo questo problema istituzionale con il presidente del Parlamento Aziz Dweik, lui non ha dubbi: «Adesso vogliono resuscitare l”Olp, che è stata sepolta dieci anni fa. No, l”Olp ha fatto molti errori; forse è stata un errore fin dall”inizio»’

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