Non poteva uscire di scena che con una bugia, Colin Powell. Ieri, al termine della Conferenza internazionale sull”Iraq di Sharm el Sheikh, ha dichiarato che «nessuna delegazione ha suggerito un rinvio delle elezioni della fine di gennaio in Iraq». Dopo aver mostrato al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite le false prove sulle armi di distruzione di massa in possesso di Saddam che dovevano «giustificare» la guerra contro l”Iraq e molto più recentemente, sulla strada per Santiago (del Cile), aver rivelato le prove non provate del nucleare in possesso dell”Iran, in fondo quella di Sharm el Sheikh è una bugia veniale. Tanto più che Powell ormai è fuori gioco e anche questo ha contribuito a sminuire la portata della conferenza di Sharm el Sheikh, convocata solo per ratificare il processo di transizione iracheno delineato dagli Usa. Ma proprio l”aver volutamente ignorato i «suggerimenti» di alcuni paesi arabi (Egitto, Giordania e persino l”Arabia saudita) della delegazione sunnita non invitata arrivata ieri a Sharm el Sheikh, e persino velatamente insinuata da Kofi Annan sulla scarsa sicurezza, potrebbe rivelarsi un boomerang per gli Usa. I maggiori sostenitori delle elezioni subito – il 30 gennaio – in Iraq non sono solo i migliori alleati degli Usa, i kurdi, ma anche gli sciiti. Che non lo fanno certo per compiacere gli americani. Se dietro la linea delle elezioni a tutti i costi ci sono gli Stati uniti, questi non sono soli. Non a caso ha messo in campo tutto il suo peso il paese con maggiore influenza e interessi in Iraq, l”Iran sciita. Il ministro degli esteri iraniano Kamal Kharrazi, presente a Sharm el Sheikh, ieri ha lanciato un appello al voto attraverso al Jazeera e ha incassato di ospitare la riunione dei ministri degli interni dei paesi confinanti con l”Iraq. L”Iran sostiene le elezioni in nome della sovranità irachena, sacrosanta se potessero esprimersi tutti gli iracheni, certo che la maggioranza sciita le possa vincere. Ma gli interessi di Teheran vanno al di là. Innanzitutto riguardano la comunità sciita – di cui l”Iran è il paese leader – nel suo complesso e che comprende la maggioranza degli iracheni, le minoranze libanesi e siriane, con le milizie hezbollah. E” questa egemonia iraniana che potrebbe rappresentare un boomerang per gli americani, perché potrebbe imporre uno stato teocratico sul modello degli ayatollah in Iraq. Del resto il velayat-e faqih (la supremazia del religioso), che ha ispirato la rivoluzione iraniana è stato elaborata da Khomeini a Najaf e qui ha ancora tanti seguaci. Sulla scelta dello stato islamico gli Usa hanno già detto di non volersi opporre – del resto lo sostengono in Afghanistan -, ma gli ayatollah al potere potrebbero anche chiedere l”allontanamento delle truppe.Se invece, senza andare troppo in là, questo voto fortemente sostenuto da sciiti e kurdi si limitasse ad escludere i sunniti potrebbe semplicemente sancire la spartizione dell”Iraq, il disegno americano. Comunque favorirebbe il tentativo di Tehran di darsi l”immagine del grande mediatore che può «stabilizzare» la situazione irachena. Nei giorni scorsi il presidente iraniano Khatami aveva detto che era pronto ad aiutare gli americani ad uscire dal pantano iracheno, in nome della «sovranità» degli iracheni. E su questo sono d”accordo tutti gli iraniani, conservatori o meno, ognuno ha la propria corrente da sostenere in Iraq. Ma questo ruolo di «mediatore» rappresenta un”altra sfida per Bush che continua a minacciare l”Iraq per il suo nucleare. La Gran Bretagna, la Francia e la Germania hanno raggiunto un accordo con Tehran, riusciranno a farlo ingoiare a Washington? Difficile, a Sharm el Sheikh l”Europa non si è sentita.’
Le mani sull''Iraq'
Non poteva uscire di scena che con una bugia, Colin Powell. Ieri, al termine della Conferenza internazionale sull''Iraq di Sharm el Sheikh, ha dichiarato che «nessuna delegazione ha suggerito un rinvio delle elezioni della fine di gennaio in Iraq».'
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24 Novembre 2004 - 11.52
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