i record di un narco-stato

Rapporto Onu: il paese vanta la più estesa coltivazione di oppio a livello mondiale

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19 Novembre 2004 - 11.52


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I timori che l”Afghanistan potesse trasformarsi in un narco-stato, lanciato qualche mese fa dalle Nazioni unite, si sono già materializzati nel nuovo rapporto sulla produzione dell”oppio diffuso ieri. L”Afghanistan fornisce l”87 per cento della produzione mondiale di oppio, con un aumento rispetto al 2003 del 17 per cento, 4.200 tonnellate contro le 3.600 dello scorso anno. Ma la produzione potrebbe essere stata molto più alta se non fosse intervenuta la siccità. «Il decremento della produttività per cause naturali ha contenuto la produzione di oppio a un livello che rimane inferiore a quello del picco taleban del 1999, di 4.600 tonnellate», si legge nel rapporto presentato ieri dall”Undoc (Ufficio delle Nazioni unite contro la droga e il crimine). Questo non impedisce all”Afghanistan di vantare quest”anno alcuni record. «Con 131.000 ettari dedicati alla coltivazione di oppio, quest”anno l”Afghanistan ha totalizzato un doppio record: la più estesa coltivazione di droga nella storia del paese e la maggiore a livello mondiale», ha dichiarato ieri a Bruxelles Antonio Maria Costa, direttore esecutivo dell”Undoc, presentando il rapporto. L”estensione dei campi dedicati alla coltivazione dell”oppio è aumentata quest”anno del 64 per cento, del resto coltivando il papavero un contadino guadagna dieci volte di più che coltivando grano, anche se i maggiori guadagni vanno ai trafficanti. Si calcola che 2,3 milioni di afghani (uno su dieci) siano coinvolti nel business dell”oppio e nel 2004, con un giro d”affari calcolato in 2,8 miliardi di dollari, la produzione oppiacea rappresentava più del 60 per cento del Prodotto interno lordo del 2003. La droga «rappresenta il motore principale della crescita economica e rappresenta il più forte legame tra popoli prima sempre in lizza», si legge ancora nel rapporto dell”Onu.Come evitare che la coltivazione dell”oppio sia l”unica attività redditizia in Afghanistan? La Direzione anti-narcotici di Kabul ha lanciato un «jihad» (guerra santa, ai tempi dei taleban dicevano che non si poteva fare uso di eroina ma venderla agli infedeli occidentali sì) contro le droghe.Per Antonio Costa «l”economia dell”oppio in Afghanistan deve essere smantellata con la democrazia, lo stato di diritto e lo sviluppo economico. Sarà un processo lungo e difficile».Già i taleban, dopo il 1999, per continuare a riscuotere i fondi stanziati dall”Onu per l”eliminazione della produzione di oppio e anche per provocare un rialzo del prezzo dell”eroina di cui avevano accumulato consistenti scorte, avevano cominciato a sradicare papaveri, con le maniere forti che erano soliti usare. Pare che questa fosse stata una delle ragioni che aveva provocato una perdita di consenso anche nelle zone in cui lo godevano. Ora non basta convincere i contadini, fornendo loro alternative valide, ma anche i signori della guerra che sono i principali beneficiari del traffico della droga, con la quale mantengono le loro milizie. Una guerra fatta contro il terrorismo non solo non ha eliminato Bin Laden, mullah Omar e i taleban, ma ha fatto aumentare il business che li sostiene, loro insieme agli altri. AFGHANISTAN Un voto kabulista G. S., Le 4.800 urne con le schede votate sabato stanno affluendo – con camion, elicotteri, macchine ma anche a dorso di mulo – negli otto centri di raccolta dove verranno spogliate. E per l”inizio dello spoglio non si aspetteranno le conclusioni della commissione nominata dall”Onu per indagare sulle denunce di brogli – inchiostro non indelebile, soprattutto – che hanno portato sabato all”annuncio di boicottaggio da parte degli avversari del favorito alla presidenza, Hamid Karzai. Nel frattempo stanno scemando anche le polemiche sui brogli: «vogliamo unità in queste elezioni, non boicottaggio», ha detto Yunis Qanuni, principale rivale di Karzai. Come era già accaduto in passato durante le elezioni della Loya Jirga (grande assemblea), l”intervento pesante degli Stati uniti, con pressioni e i ricatti, mette tutti a tacere. La trattativa è in corso e si parla persino di riaprire le urne per permettere ai boicottatori pentiti di votare. Alla faccia della democrazia. Del resto chi ha partecipato finora al gioco non può tirarsi indietro proprio adesso. A gettare dubbi su queste elezioni non sono infatti solo e tanto i brogli di sabato, ma quelli precedenti e il contesto in cui si sono svolte. Le elezioni, spacciate dall”occidente come il termometro della democrazia, in realtà spesso sono usate come una scorciatoia. Invece di concludere un processo di democratizzazione lo mettono a rischio, inficiandone la credibilità. Nel caso afghano le elezioni servivano più a Bush, per nascondere il fallimento iracheno in vista delle elezioni di novembre, che agli afghani. Quindi, dopo continui rinvii, siccome era impossibile organizzare le previste elezioni politiche, si è trovato l”escamotage di estrapolare quelle presidenziali, le altre sono state rinviate alla primavera. E siccome l”iscrizione alle liste elettorali andava a rilento, anche per le minacce – e assassinii – di chi questo voto non voleva, si sono gonfiate le liste con doppie iscrizioni, ammesse persino dall”amministrazione Usa. Dunque il doppio voto era quasi una «logica» conseguenza.Chi è andato a votare (ma quanti saranno? Le immagini di code ci sono arrivate solo da Kabul) ha sicuramente espresso un desiderio di «normalizzazione» dopo 23 anni di guerra e un paio d”anni di limbo, e anche la voglia di protagonismo da parte delle donne, la maggior parte ancora con il burqa. Ma il fatto che le elezioni si siano comunque tenute non comporta una pacificazione del paese. La scena afghana continua infatti ad essere dominata dai signori della guerra – candidati nonostante le accuse loro rivolte di genocidio e violenze di ogni genere – che con le milizie controllano il territorio che sfugge al potere del presidente ad interim, quasi sicuramente confermato, non a caso chiamato il «sindaco di Kabul». Tanto è vero che, soprattutto, Karzai ma anche gli altri candidati non hanno potuto girare il paese per raccogliere voti, affidando i comizi ai capi tribali e il successo alla loro appartenenza etnica. Il successo di Karzai è legato ai pashtun, l”etnia maggioritaria, anche se proprio nel sud del paese dove la presenza degli ex taleban riesce ancora a condizionare la vita della popolazione.La smobilitazione delle milizie, cavallo di battaglia di Karzai, è appena agli inizi: per indurre i miliziani ad abbandonare le armi occorre dare loro una prospettiva che solo la ricostruzione del paese potrebbe dare. Invece la maggiore industria afghana continua ad essere quella della trasformazione dell”oppio in eroina, che rappresenta il 50 per cento del Prodotto interno lordo e non è nemmeno tassata, essendo illegale. E molti dei proventi del traffico della droga finiscono nelle tasche dei signori della guerra che possono così permettersi oltre a rifornimenti di armi anche di mantenere le milizie e ricattare il potere centrale, Karzai compreso.Tra gli afghani si avverte indubbiamente la necessità di avere un potere forte che li rappresenti – e forse questo era il desiderio di chi sabato è andato a votare – anche per esprimere l”opposizione alla presenza americana. Resa elettorale in Afghanistan La sfida del voto In corsa per le presidenziali del 9 ottobre 18 candidati, compresi vari signori della guerra, come il famigerato generale Dostum GIULIANA SGRENA, L”inattesa visita a Kabul del segretario alla difesa Usa, Donald Rumsfeld, che da tempo era scomparso dalla circolazione forse per non compromettere la rielezione di Bush, ha un forte sapore elettorale. Innanzitutto la coincidenza: l”arrivo la mattina dopo la proclamazione dei diciotto candidati alle elezioni presidenziali afghane del 9 ottobre, proprio un mese prima di quelle americane. Un”occasione da non perdere, visto il pantano in cui si trovano le truppe Usa in Iraq, le elezioni in Afghanistan – già rinviate due volte – possono controbilanciare quel fallimento, anche se neppure a Kabul c”è molto di cui rallegrarsi. Visto il numero delle vittime registrate durante l”iscrizione alle liste elettorali e gli stranieri assassinati nell”ultimo anno, tanto che ong come Medicins sans frontières hanno deciso di lasciare il paese. Non solo stranieri ma anche afghani, mille i morti in un anno, nonostante la presenza di 8.500 uomini dell”Isaf, sotto comando Nato. E, nonostante 18.000 uomini siano impegnati da tre anni nel dare la caccia a Osama bin Laden e mullah Omar, per ora non sono riusciti a catturarli. L”Afghanistan è tornato all”onore delle cronache solo per aver costituito, con le sue carceri, un precedente alle torture di Abu Ghraib. Hamid Karzai non controlla il paese, ancora in mano ai vari signori della guerra – tra i quali il famigerato generale uzbeko Dostum che lo sfiderà anche nelle urne – ma è sopravvissuto ai tentativi di attentati, grazie alla protezione di body guard americane, e questo non è poco. E se vincerà le prossime elezioni, sarà uno dei pochi successi che gli americani potranno vantare. Rumsfeld non ha dubbi: «Il mondo intero scommette sul suo successo. Io non ho dubbi che stiate vincendo», ha detto a Karzai durante l”incontro al palazzo presidenziale. Ma i taleban hanno rialzato la testa e in vista delle prossime elezioni giocheranno le loro carte. E anche altri leader mujahidin. In un comunicato inviato via fax alla redazione di Peshawar del quotidiano pakistano The News, un ex leader mujahidin, Malvi Yunis Khalis, che qualche mese fa aveva lanciato un appello al jihad contro gli Usa, ora chiede al popolo afghano di opporsi alla «cospirazione elettorale». Khalis, che viveva a Jalalabad, vicino al confine con il Pakistan, da qualche tempo è sparito dalla circolazione insieme al figlio Mujahid, già comandante taleban.«I taleban sono ancora attivi nelle aree circostanti? Certo. E” un fatto. Riusciranno ad avere successo? No. Perderanno», ha detto Rumsfeld. E ha aggiunto: «il maggior numero di taleban che si ritrovano insieme costituiranno un target migliore, saranno uccisi o catturati più in fretta». Il segretario alla difesa ha approfittato della sua breve visita per incontrare i comandanti delle truppe Usa e per questo si è recato anche a Jalalabad, nel cuore della produzione di papaveri da oppio. «Il pericolo rappresentato dal traffico della droga non può essere ignorato», ha detto Rumsfeld. Ma intanto il raccolto ha già dato i suoi frutti: l”Afghanistan produce il 75 per cento dell”oppio su scala mondiale, nel 2003 la produzione di droga è stata quantificata in 2,3 miliardi di dollari, il 6 per cento in più dell”anno precedente, secondo dati Onu. Le 3.600 tonnellate di eroina prodotte lo scorso anno in Afghanistan rappresentano il 90 per cento del consumo in Europa. E sono questi introiti che sostengono i signori della guerra che continuano a dettare legge avvalendosi di milizie ben pagate.In questo contesto si svolgeranno il 9 ottobre, dopo due rinvii, le elezioni presidenziali, quelle legislative sono state rimandate al prossimo anno. Una delle maggiori difficoltà era la sicurezza, non solo per lo svolgimento del voto ma anche per l”iscrizione alle liste elettorali. Che andava molto a rilento. Un paio di settimane fa gli osservatori calcolavano che sarebbe stato un successo se si fossero iscritti alle liste almento 6 milioni su 10,5 milioni di afghani aventi diritto. E invece improvvisamente il numero degli iscritti è salito a 9 milioni, un successo che ha dato adito a voci di brogli, ma Karzai ha assicurato che nessuno voterà due volte, grazie all”inchiostro indelebile.E” certo che la sfida si giocherà all”ultimo sangue, il peso dei candidati lo lascia intuire. Karzai viene considerato il favorito, anche se, visti i rivali, non è detto che riesca ad evitare un ballottaggio. Rappresenta l”etnia maggioritaria, i pashtun, e una tribù potente, i Durrani, ma in passato non tutti i pashtun lo hanno sostenuto, preferivano il re, Zahir Shah. Molti pashtun lo consideravano un ostaggio dei tagiki, i duri del governo, che finora lo avevano sostenuto. Ma ora Karzai ha voluto liberarsi dal legame soffocante con il generale Fahim, comandante dei mujahidin tagiki e ministro della difesa, e non l”ha candidato a suo vice preferendogli Ahmed Zia Massud, un fratello di Ahmed Shah, il «leone del Panshir» assassinato alla vigilia dell”11 settembre e proclamato «eroe nazionale». Lo scontro con il generale Fahim è nato soprattutto sulla smobilitazione delle milizie armate, che avrebbe dovuto avvenire entro giugno e invece solo 12.000 uomini su 100.000 hanno consegnato le armi, e i due corpi controllati dal comandante tagiko sono stati i meno disponibili.Il gesto di sciogliere il legame con Fahim è stato apprezzato da molti ma non da molti altri, compresi alcuni ufficiali Usa che preferiscono tenersi buoni i signori della guerra nella lotta antiterrorismo. Resta da vedere quale sarà l”effetto elettorale di questa scelta – tra l”altro ieri Rumsfeld ha incontrato anche il generale Fahim, per evitare di sbilanciarsi? Perché Fahim è sceso in campo a favore del candidato tagiko, ex ministro degli interni e ora dell”educazione, Yanis Qanuni. Già collaboratore di Massud, Qanuni si è alleato con un altro fratello del defunto leader, Ahmad Wali Massud, ed è sostenuto anche dal ministro degli esteri Abdullah Abdullah. Se tra i meriti questi candidati, nessuno dei quali può vantare un passato limpido, si ascrivono la lotta contro i sovietici e poi contro i taleban, che però all”inizio Karzai aveva appoggiato mentre non aveva partecipato allo scontro sanguinoso tra i mujahidin che hanno distrutto Kabul, il candidato più inquietante è senza dubbio il generale uzbeko Rashid Dostum. E non solo per i continui voltafaccia (vedi scheda), ma per il ruolo avuto più recentemente nella cacciata dei taleban e nel massacro di Mazar-i-Sharif, dove si calcola che siano morti circa 3.000 taleban che si erano arresi dopo la battaglia di Kunduz, nel nord del paese. Qualche centinaio erano stati massacrati dentro la fortezza di Mazar, altri durante il trasporto, altri ancora giustiziati davanti alle fosse nel deserto, dove sarebbero stati seppelliti, tutti. Quelli sopravvissuti sarebbero stati torturati nel carcere di Shebargan. Un massacro compiuto dagli uomini di Dostum con la collaborazione e l”avallo di agenti americani, che peraltro si erano incaricati degli «interrogatori» dei taleban o sospettati terroristi di al Qaeda. Nonostante le denunce – di assassinii, massacri, stupri, etc. – presentate contro alcuni dei candidati, e soprattutto contro Dostum, la commissione elettorale non ha osato escluderli dalla competizione.’

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