Tra le macerie dell''Iraq'

L''ostilità nei confronti delle forze occupanti aumenta ogni giorno e si fa resistenza. Anche armata, in un paese dove le armi sono diffusissime e il disarmo forzato è impossibile. Le condizioni di vita insostenibili hanno fatto piombare il paese in

Tra le macerie dell''Iraq'
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29 Giugno 2003 - 11.52


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I marine non camminano mai a piedi, ti scrutano superarmati dall”alto degli Abrams puntando i loro fucili, anche in mezzo al traffico quando non esitano a sparare per uccidere i cani randagi seminando il panico tra i macchinisti distratti. Un marine però venerdì è sceso dal suo tank a Baghdad per comprare due Cd ed è stato colpito con un colpo di pistola alla testa proprio davanti alla bancarella di Kazimiyah. Non poteva certamente essere un agguato preparato: gli iracheni sono sempre più determinati a combattere le truppe di occupazione. La resistenza si estende dalle zone sunnite a quelle sciite e non è certo alimentata dai nostalgici di Saddam, che pure ci sono. L”ostilità aumenta e le armi non mancano. Le perquisizioni, che non producono grandi risultati sul piano del disarmo, non fanno altro che incrementare la rabbia. Tanto più che i soldati entrano nelle case di notte, durante il coprifuoco, buttano giù dal letto donne e bambini incuranti delle tradizioni, delle imposizioni religiose e del panico provocato fra i più piccoli. Buttano fuori gli abitanti per perquisire le case e la gente sempre più spesso accusa gli americani di distruzioni e furti. Che non sono però dimostrabili. Con gli americani noi non parliamo, dicono i «ribelli» di Fallujah, diventata il simbolo della resistenza, ma sappiamo che ci sono dei collaborazionisti e li uccideremo. A Baghdad la resa dei conti è già cominciata. Il problema è che la guerra è stata troppo breve e non ha permesso di sfiancare a sufficienza il nemico, si giustificano gli occupanti preoccupati della loro incapacità di gestire una situazione sempre più caotica. L”impraticabilità del disarmo forzato aumenta l”insicurezza che disincentiva gli investimenti per la ricostruzione che non può nemmeno avvalersi dei proventi del petrolio minacciati anche dai sabotaggi degli oleodotti.A Baghdad i tradizionali e interminabili convenevoli usati quando incontri una persona – come stai? come sta la famiglia, etc… – sono stati sostituiti con una domanda secca e prosaica: voi avete l”elettricità? E” diventato un vero incubo: senza corrente non si può accendere un ventilatore per attutire il caldo che non concede requie nemmeno di notte, intanto il cibo, quel poco disponibile, senza frigorifero va a male. E passando davanti alla centrale elettrica di al-Dora, la più grande di Baghdad, tutti controllano le quattro ciminiere per controllare da dove esce il fumo. Un giorno dall”una, l”altro da un”altra. «Vedi, ti fanno notare, tutte le ciminiere funzionano e se funzionassero contemporaneamente non avremmo questi problemi di elettricità: sono gli americani che non la fanno funzionare a pieno ritmo, evidentemente ci vogliono punire».Non si tratta solo di elettricità, manca spesso anche l”acqua e i telefoni non funzionano, ormai è un dilagare di satellitari Thuraya, comunque un privilegio per chi ha fatto i soldi con la guerra e l”occupazione. Anche il cibo necessario per la sopravvivenza del 60 per cento degli iracheni non è stato distribuito per due mesi dopo la fine del regime di Saddam, ora dovrebbe essere il World food programme, in collaborazione con il ministero del commercio iracheno – che già lo faceva prima – ad assumere l”onere di continuare per sei mesi la gestione dell”«oil for food» (petrolio in cambio di cibo). Ma la distribuzione va a rilento: molti depositi sono stati saccheggiati e anche il ministero del commercio è stato completamente distrutto nei primi giorni di occupazione americana.La coalizione ha elargito uno stipendio una tantum ai dipendenti pubblici: parte in dollari (da 20 a 40) e parte in dinari (circa 100.000), ma in pezzi da 10.000 che nessuno vuole più accettare a Baghdad. Dicono che sono stati rubati e che molti sono falsi. Per cambiarli occorre andare nelle banche autorizzate con file di ore. E anche il dollaro non vale più granché: il cambio è crollato da oltre 3.000 dinari durante la guerra a 1400-1500. I prezzi sono invece saliti alle stelle, grazie anche alla forte presenza straniera. Le bombole di gas sono diventate un lusso: costavano 250 dinari e ora 3.000. Per cucinare si fa sempre più ricorso a benzina e cherosene, più infiammabili: le ustioni si moltiplicano e sono devastanti soprattutto per i bambini. La benzina ha invece mantenuto il prezzo di prima della guerra (20 dinari la normale e 50 la più raffinata, ovvero 20 e 50 delle vecchie lire) ma non si trova. Un paradosso nel paese che si colloca al secondo posto al mondo per le riserve di petrolio. Le code ai distributori durano ore e giorni, se si ha fretta meglio ricorrere al mercato nero.I nomi di ospedali, strade, quartieri sono cambiati, ma nessuno è in grado di registrare i cambiamenti. E questo comporta caos inenarrabili anche per chi, come le Ong, stanno realizzando progetti che spesso si sovrappongono. Pensi di essere in un quartiere e invece sei in un altro, magari dal nome evocativo come «Cecenia». Perché si chiama così? Per il livello di conflittualità. Ovvio! Un dato è però comune in città: il totale degrado. Montagne di rifiuti, che spesso galleggiano su pantani provocati dal liquame delle fogne che fuorisce da tubi danneggiati dalla guerra o dal dopoguerra, provocando un odore nauseabondo.Anche gli avventori dei suq spesso di devono districare tra immondizie vecchie e nuove. Come nell”ex-Saddam city, il più famoso quartiere sciita di Baghdad noto per le sue condizioni particolarmente disastrate già ai tempi dell”ex-rais. Naturalmente non si chiama più Saddam city, già il 9 aprile era stata ribattezzata Sadr city, dal nome del «martire della fede» che ha sostituito Saddam nell”iconografia. Ma poi gli sciiti si sono divisi tra sostenitori di Mohammed Sadeq al-Sadr e di Baqer al-Hakim, leader dello Sciiri (Consiglio superiore per la rivoluzione islamica in Iraq), quindi si è tornati al nome storico di al-Thawra, sicuramente più suggestivo e promettente: rivoluzione.A Um Qasr, come a Bassora, i bambini non ti chiedono soldi, caramelle o penne biro, ma acqua. La mancanza di oro bianco è il paradosso di un paese che galleggia sull”oro nero e di una popolazione che vive nell”unico porto utilizzabile per l”esportazione della preziosa risorsa. L”acqua c”era, prima della guerra il 70 per cento delle case aveva l”acqua corrente e nemmeno per gli altri c”erano grandi problemi. Ora l”acqua viene importata con le autobotti dal vicino Kuwait, grazie soprattutto all”Unicef, ma non viene distribuita gratuitamente come previsto, i trasportatori la vendono, nonostante l”agenzia dell”Onu per disincentivare la speculazione sulla sete abbia garantito ai camionisti cento dollari in più del dovuto alla settimana. L”acqua si paga 250 dinari iracheni (circa 250 vecchie lire) al barile (di 220 litri). Una miseria se questa povera gente avesse almeno un salario da miseria. Ma così non è. Molti dei lavoratori del settore delle costruzioni e del petrolio venivano pagati a giornata, quindi non hanno nemmeno potuto usufruire di quel misero salario distribuito dall”amministrazione occupante perché risultano disoccupati. Nemmeno la ricostruzione, quando partirà, riserverà loro dei vantaggi, nonostante la posizione strategica del porto, perché la Bechtel, la compagnia americana favorita nella concessione degli appalti, ha deciso di «importare» lavoratori asiatici: costano meno. Invece dei circa 9.000 prigionieri di guerra detenuti a Um Qasr la maggior parte sono stati liberati, ne restano circa 500, ma forse saranno presto rilasciati. Così anche la Croce rossa ha potuto abbandonare Um Qasr, sotto il controllo delle truppe britanniche e spagnole.Si fanno chiamare «Vendetta islamica», sono un gruppo di giustizieri che a Bassora danno la caccia agli ex-militanti del partito Baath, molti dei quali sono già stati assassinati. Non si sa chi li appoggi, ma nessuno li tocca. Nelle moschee e negli ospedali sono comparse le liste di proscrizione: medici e infermieri vengono cacciati per essere sostituiti da ferventi e fanatici musulmani. Anche i partiti laici sono entrati nel loro mirino, ma per ora i vendicatori si sono limitati alle minacce e a strappare qualche striscione. Per i venditori di alcoolici non c”è scampo: tutti i negozi sono stati chiusi e due dei proprietari assassinati. Erano prevalentemente cristiani, che ora hanno persino paura ad uscire di casa. Ai gestori dei cinema è stato imposto di proiettare solo film d”azione, ovvero violenti, senza scene d”amore (di sesso non si parla nemmeno). Ma nessuno va più al cinema: tutta la città è un palcoscenico di violenza.Gli islamisti non si sono lasciati sfuggire le scuole, che sono finite nelle mani di un fanatico, l”«iraniano» – perché in esilio a Tehran – Hamid al-Maliki, che si comporta come se si trovasse già in uno stato islamico. Impossibile cacciarlo, le «autorità occupanti» non lo toccano. Anzi, gli americani hanno stanziato 200 milioni di dollari per il settore educativo a Bassora. E siccome si parla di revisione dei curriculum scolastici e dei libri di testo, a chi toccherà l”arduo compito? Agli «iraniani» o ai colonizzatori occidentali? Intanto, per evitare contaminazioni occidentali, al-Maliki ha impedito a un gruppo di studenti di partire per la Spagna, dove sarebbero stati ospitati per una breve vacanza che li avrebbe sottratti alle penurie, alla calura (la temperatura supera i 50 gradi) e ai rischi di contagio da colera.Dall”inferno di Saddam a quello americano. A sostenerlo è Sabiha, certamente non sospettabile di nostalgia per l”ex rais. Vive con il marito, 73 anni ciascuno, in un piccolo appartamento di al-Baya, un quartiere periferico di Baghdad, quasi sempre senza elettricità, il telefono invece funziona, ma serve a poco visto che gli altri non funzionano. Che vita è questa? Anche il resto della sua vita non è stato certamente felice. Arrestata a diciott”anni con l”accusa di essere comunista, comunista lo è diventata davvero in carcere. Prima di sposare Hadi che comunista lo era prima di lei. Ha passato tutta la gioventù dentro e fuori dal carcere, anche quando aveva i figli piccoli, che poi sarebbero diventati anche loro militanti del Partito comunista iracheno. Un figlio l”ha perso a causa delle torture. Due figlie e un figlio hanno lavorato al giornale del partito, Tareq al-Shaab, che ora ha ripreso le pubblicazioni, prima di fuggire all”estero. Soprattutto per rintracciare il figlio Intishal, che era scappato, Sabiha veniva continuamente arrestata, a volte per pochi giorni, a volte solo minacciata. Chiunque si avvicinasse alla loro casa veniva arrestato. Originari di Hilla (la famosa Babilonia), Hadi, insegnante, per punizione era stato trasferito per otto anni in un villaggio vicino a Kirkuk. Suo fratello e suo nipote invece sono stati uccisi. Ora, naturalmente è in pensione, ha ricevuto 40 dollari dagli americani, ma non bastano, tanto più che le razioni di cibo non arrivano.Come si può vivere così? Sabiha mi mostra dalla finestra gli americani superarmati che presidiano una postazione proprio di fronte alla sua casa. La sua vivacità improvvisamente si spegne: «E” questa la liberazione?» E a pensarla così sono la maggior parte degli iracheni.’

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