Nasiriya, «rossa» e ribelle, il rischio dei militari italiani

Comunisti e arak Nella città della dura resistenza agli americani, con uno storico legame tra sinistra e masse sciite, arrivano i militari italiani, già malsopportati

Nasiriya, «rossa» e ribelle, il rischio dei militari italiani
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22 Giugno 2003 - 11.52


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I vigili che regolano il traffico, scarso data l”ora (mezzogiorno) e la calura estiva, è la prima sorpresa che ci accoglie arrivando a Nasiriya. Una città del sud con 1.250.000 abitanti, una volta dedita soprattutto all”agricoltura (il 90% dell”attività produttiva) e ora ripiegata sul commercio dopo che, le dighe costruite da Saddam per prosciugare le paludi di Bassora rovinando un sistema ecologico straordinario, hanno privato anche questa zona dell”acqua necessaria per le coltivazioni, ora ridotte al 10 per cento delle attività. Nasiriya si è così impoverita, ma resta vivace intellettualmente. La tensione in città deve essere inferiore alle altre capitali se le forze di occupazione americane si permettono persino di girare a piedi: finora non li avevamo mai visti abbandonare i loro mezzi blindati per fare quattro passi. Questa relativa calma non ha impedito che martedì scorso durante una ressa per riscuotere gli stipendi alla banca Rafidain, quando gli americani sono intervenuti per riportare l”«ordine» una donna è rimasta uccisa. Ora gli stipendi si distribuiscono per ordine alfabetico. Ma molti in città sono i disoccupati, quelli che non possono nemmeno fare la coda per ottenere un seppur misero salario.La città è apparentemente tranquilla e a parte questo fatto drammatico per ora non ci sono casi di maltrattamenti quotidiani da parte delle truppe Usa, questo non toglie che la popolazione sia contro gli occupanti e contrariamente ad altre città – sebbene anche qui il comando sia nelle mani di un americano, il generale Murphy – le istituzioni hanno continuato a funzionare grazie ad un tessuto sociale e politico che non si è completamente sfaldato con il crollo del regime. A Nasiriya è come se fossero stati preparati più di altri alla caduta di Saddam. E” una città dove non solo l”opposizione religiosa ma anche quella laica e democratica era tale che, nonostante abbia pagato con decine di migliaia di «martiri», era riuscita ad imporre che potessero essere amministratori della città anche persone non iscritte al partito Baath e che ora sono rimaste al loro posto, nei vari settori del governatorato. E” il caso di Menshed Abid, assessore all”educazione, apprezzato da tutti. La sua casa è una di quelle bombardate per errore («danno collaterale») durante la «guerra di liberazione», sottolinea Menshed con ironia. Ci sono stati anche feriti, ma non gravi, la stanza colpita era quella che ospitava la famiglia della figlia di Menshed, venuta qui da Baghdad per evitare i bombardamenti!I problemi non mancano: soprattutto la disoccupazione e la sicurezza. I saccheggi qui sono meno devastanti, ma continuano. «Il partito comunista dovrebbe prendere in mano la situazione, prendere le armi e bloccare questi ladri, invece stanno lì seduti nella sede del partito, che cosa aspettano?», dice un notabile della città. Faccio notare che se tutti i partiti si armassero, e molta gente lo è già, potrebbe scoppiare la guerra civile. «Non sto parlando di tutti i partiti, mi redarguisce, sto parlando del partito comunista, se lancia una parola d”ordine tutti lo seguono, qui nessuno segue gli islamisti. Questa è la città di Fahed al-Khaled, il fondatore del Partito comunista». Il partito, nato ufficialmente in Iraq nel 1934, ma aveva gettato le proprie basi a Nasiriya già due anni prima, è il più antico sulla scena politica irachena e ha sempre avuto, sia nella base che al vertice, una forte preponderanza sciita. Tanto che per contrastare questa «minaccia comunista» si era mobilitato il fronte religioso.A Nasiriya, il Partito comunista iracheno aveva nel `58 oltre il 60% dei voti. In città, ancora oggi, molti sottolineano con orgoglio il fatto che il partito era noto per avere iscritti con alta scolarizzazione e questa presenza ha fatto sì che si mantenesse un buon livello di educazione per la maggior parte della popolazione.La foto di Fahed – ucciso nel 1949 – è esposta insieme a quella di molti altri «martiri», uomini e donne, su una parete della sede del Partito comunista. Il segretario, Said Sahib el Hossuna, è rientrato dalla Siria dove ha passato il suo esilio. C”è molta soddisfazione per la ripresa dell”attività politica, anche se con il rammarico di essere sotto occupazione. «Tutti sono contro l”occupazione, ma l”occupazione è un fatto, quando avremo un governo potremo negoziare pacificamente la loro partenza», afferma con ottimismo Said che ricorda i legami storici con Partito comunista italiano.Ora ci sono gli americani ma fra poco arriveranno anche gli italiani …, facciamo notare. «Gli italiani almeno sono più simili a noi degli americani e dei britannici che sono colonizzatori ed espansionisti, forse ci capiranno meglio … altrimenti si renderanno conto che la gente è contro tutte le truppe straniere. Siamo come in una polveriera basta una scintilla …», risponde Said. «Se gli italiani vengono per disarmare gli Ali Baba (ladri) va bene, altrimenti troveranno pane per i loro denti», dice Abid, e si riferisce a tutte le armi che circolano in città. Ma se non disarmano i saccheggiatori gli americani perché dovrebbero farlo gli italiani? Comunque, per ora i soldati Usa stanno allestendo nuove costruzioni all”aeroporto, dove probabilmente si installeranno anche gli italiani. Uno dei primi militari italiani venuto in avanscoperta ha visitato anche la sede del Partito comunista, «si è guardato in giro, ha fatto qualche domanda, qualche foto ai nostri martiri e poi ha promesso di tornare», riferisce Said.Nonostante la forza di un partito laico come quello comunista, anche a Nassiriya non sono mancati tentativi da parte degli islamisti di imporre il velo alle donne o di impedire la vendita di alcolici, ma poi, dice Said, «siamo andati da uno sheikh che conta perché intervenisse a calmare i fanatici». Del resto come potrebbe essere impedita la vendita degli alcolici in un luogo che viene definito «la città dei comunisti e dell”arak» (l”acqua vite locale)?, mi fa notare un amico. Invece il Pc non è riuscito ad impedire la caccia agli ex baathisti (esponenti dell”ex partito unico), non per portarli davanti a una corte come anche i comunisti vorrebbero, ma per ucciderli – almeno 15 sono stati assassinati.I comunisti e gli altri partiti – sono 13, 3 laici e 10 religiosi – si sono riuniti in un coordinamento con l”intento di diventare gli interlocutori del generale Murphy, che tuttavia finora non li ha ancora incontrati. I «tredici» hanno anche un loro candidato governatore, anzi è lui che li ha contattati per proporsi e loro hanno accettato. Si tratta di Taklif Mohammed al-Manshaad, 44 anni, avvocato, oppositore di Saddam, democratico, che aveva partecipato alla rivolta del 1991 e poi nel 1996, braccato, era dovuto fuggire all”estero, attraverso il Kurdistan, con l”aiuto di un suo cugino comunista, per rifugiarsi poi a Londra. Lo incontriamo in una casa di campagna, per ora sta studiando la sua parte, a partire dall”abbigliamento: jellaba e kefiah. Sempre serio, sottolinea la sua intenzione di fedeltà al popolo e alle sue richieste.Questi continui richiami al popolo devono essere la logica reazione al regime autoritario ed oppressivo di Saddam che non badava certo alle aspirazioni del suo popolo. Le priorità per Taklif sono: la sicurezza e l”aumento dei salari. Non si nasconde che il governo reale è comunque nelle mani del generale Murphy e «noi giochiamo un ruolo secondario nella situazione politica e nella ricostruzione dell”Iraq, ma questo non vuol dire che rinunceremo a portare avanti la visione e la richiesta del nostro popolo sulla ricostruzione e pianificazione del futuro politico dell”Iraq». E come intende portare avanti questi obiettivi? «Abbiamo l”ambizione di attuarli con mezzi pacifici ma l”ultima scelta spetterà al popolo». Poi aggiunge: «Speriamo che la coalizione mantenga gli obiettivi dichiarati durante la guerra: di liberare gli iracheni dalla sanguinaria oppressione e riconsegnare il paese al suo popolo perché avvii un processo democratico per formare l”amministrazione del futuro Iraq». Ci sono dubbi? «Non abbiamo scelta, risponde l”avvocato, in queste circostanze non ci resta che trattare, a una condizione: sapere la verità sulle intenzioni, e non ci sono prove che abbiano buone intenzioni». Secondo lei, chiediamo al candidato governatore, è necessario l”arrivo delle truppe italiane a Nassiriya? Non risponde direttamente: «Se le forze di coalizione ci chiedessero di formare una forza per garantire la sicurezza, saremmo in grado di farlo in sette giorni, e questa garantirebbe sicuramente la pace e la sicurezza nel governatorato, anche in futuro». Già, ma peccato che siano sotto occupazione e gli occupanti hanno una visione diversa, anche quelli che devono ancora arrivare. Il comitato di coordinamento dei partiti proporrà alla coalizione il candidato autoproposto, che chiede comunque che la sua candidatura venga avallata da una elezione, e poi si vedrà. Per ora il vecchio governatorato si autoamministra anche senza governatore e tra i notabili c”è chi non è entusiasta dell”avvocato venuto da Londra, «a governarci deve essere chi ha sofferto qui insieme a noi e non chi è sceso da un aereo all”ultimo momento».’

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