Nel cuore della casbah

Labirintica, segreta; e anche bianca e solare. Algeri

Nel cuore della casbah
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27 Agosto 1999 - 11.52


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Algeri la bianca. A colpire chi arriva nella capitale algerina è soprattutto la sua luminosità: una cascata di costruzioni bianche che scende verso il mare coprendo tutta la collina che abbraccia e protegge la baia di Algeri dai venti dell”ovest. Una immagine deturpata solo dall”imponente hotel el-Aurassi, che sorge in cima alla collina, costruito ai tempi del realismo socialista e che ancora ospita quasi tutti gli incontri del regime. Per i vertici internazionali più prestigiosi, come quello dell”Organizzazione dell”unità africana (Oua) che si è tenuto in luglio, è stato appena costruito il lussuoso Sheraton nella baia di Club des pins, zona residenziale protetta, che negli ultimi anni ha ospitato la nomenclatura e le persone più minacciate dal terrorismo. I giornali algerini sostengono che si tratti dello Sheraton più lussuoso dell”Africa. Snobbato però dal leader libico Gheddafi che per il vertice Oua si è fatto costruire appositamente una tenda dove ha ospitato anche i suoi trecento accompagnatori.Per sentire gli umori della città basta attraversarla percorrendo la Didouche Mourad, la strada che si snoda dalla collina attraverso palazzi, molti dei quali tipicamente francesi – il piano era stato progettato da Le Corbusier – fino alla centrale piazza della grande Poste, una stupenda costruzione in stile arabo appena restaurata che si affaccia sul mare. E così, dopo anni di assoluto immobilismo scosso solo negli anni ”80 dalla crescente penuria di beni dovuta al crollo del prezzo del petrolio che aveva svuotato anche i negozi, il flusso degli algerini che si riversa sulla via principale segna anche l”evolvere della situazione politica.All”inizio degli anni ”90, sotto il diktat islamista si erano imposti il kamis (il camicione bianco o grigio) e la barba lunga e incolta per gli uomini e l”hidjab (velo) per le donne. I moralizzatori fustigavano i trasgressori per strada. Dopo la messa fuorilegge del Fis, i “barbuti” si sono mimetizzati e le donne hanno preso il coraggio di abbandonare l”hidjab e di riprendere un abbigliamento moderno, minigonne comprese. Allora, come sempre del resto, le strade erano affollate di gente, con i famosi hittistes (letteralmente: i ragazzi appoggiati al muro, disoccupati in una attesa senza speranza), per poi svuotarsi con l” avvicinarsi del coprifuoco.Ora il coprifuoco non c”è più, ma Algeri non è mai stata una città notturna; diversamente dalle città mediterranee, anche algerine, come Orano dove il rai imperversa dall”alba fino a notte fonda, nella capitale si seguono orari nordici, alla francese. Naturalmente fa eccezione il mese di Ramadan, quando la città si risveglia proprio di notte, mentre le giornate si consumano tra l”apatia e l”isteria. Eppure gli algerini vivono tutti gli avvenimenti con grande passione: la lotta politica come il calcio. E così anche nei momenti più feroci del terrorismo, quando c”era una partita tutti, incuranti del pericolo, correvano allo stadio. Chi non poteva si piazzava davanti alla televisione, tanto che molti attacchi dei gruppi armati si sono verificati proprio durante i match, finché non sono state le donne ad assumere la vigilanza.Appena sbarcati in Algeria può sorprendere l”estrema diffidenza verso gli occidentali che, superato il primo impatto, si trasforma in grande generosità. E” un atteggiamento quasi istintivo che esprime il grande senso di dignità di un popolo che ha subito diverse invasione e la lunga colonizzazione (i francesi sono rimasti oltre 130 anni) da cui si è liberato con una lunga e sanguinosa lotta di liberazione costata un milione di morti.Le immagini di quella lotta sono entrate anche nelle nostre case. E chi non ricorda la famosa Battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo? Una delle poche opere sulla storia algerina molto apprezzata dagli stessi algerini. Il film si svolge alla casbah, la parte araba della città, il cuore di tutti gli avvenimenti storici di Algeri. Con i suoi labirinti di cunicoli, scale, terrazze comunicanti e passaggi segreti rappresenta un nascondiglio ideale: lo è stato per i moujahidin durante la guerra di liberazione, ma anche per i terroristi dei gruppi islamici armati negli ultimi anni. Allora la casbah era diventata uno dei quartieri più a rischio, inaccessibile per gli “estranei” e anche molti degli abitanti si sono trasferiti altrove. Ora pare sia stata “ripulita” dai terroristi e, dopo anni, abbiamo potuto vedere i lavori di ristrutturazione, ripercorrere le strade che ospitano un mercato affollatissimo, sbirciando all”interno delle case che hanno tutte un patio sul quale si affacciano i porticati da cui si accede alle stanze. Fino a ridiscendere le ripide rampe che portano alla piazza dei martiri con la sua grande moschea, al-Kabir, per l”appunto. Altro luogo storico, che si affaccia sulla famosa “pêcherie”: accanto al mercato del pesce si trovano numerosi ristorantini dove ovviamente si mangia solo pesce innaffiato, fino a qualche anno fa, di buon vino algerino. Sembra incredibile, ma al tempo dei francesi l”Algeria era il primo produttore mondiale di vino. Altri tempi, anche se dopo l”ondata integralista non solo si può nuovamente comprare il vino ma è stato dato nuovo impulso alla coltivazione di vigneti.In concorrenza con la pêcherie vi sono poi ristoranti della Mandrague, un porticciolo stupendo a pochi chilometri dal centro, di nuovo meta di serate estive da quando il problema della sicurezza si è fatto meno drammatico e la popolazione ha ricominciato a riversarsi massicciamente sulle spiagge, sfidando le bombe che hanno funestato anche questa estate. Forse il fatalismo o l”assuefazione agli attentati o ancor più la decisione di isolare il terrorismo ha indotto gli algerini a riprendere una vita “normale”. Anche coloro che, minacciati di morte dai fondamentalisti, in questi anni hanno vissuto quasi in clandestinità, ma non hanno mai voluto abbandonare la loro al-Djazair (il nome arabo che vuol dire isole). E altri sono tornati, l”esilio è troppo triste e doloroso.Una normalità che tuttavia rischia di riesplodere da un momento all”altro: i grossi problemi sociali già esistenti non reggono all”impatto con l”apertura al mercato, che ha fatto saltare alcuni ammortizzatori, e le privatizzazioni stanno buttando sul lastrico centinaia di migliaia di lavoratori. Mentre Algeri è diventata un cantiere – dovunque sorgono agglomerati di case e uffici – la gente vive in quartieri alveare come bab el-Oued, che una volta ospitava i pieds noir, o nelle case fatiscenti de La Glacière, perché non ha i soldi per pagare l”affitto. Il terrorismo ha ulteriormente drammatizzato la situazione distruggendo fabbriche e costringendo migliaia di persone all”evacuazione verso la capitale. Una città di 3 milioni di abitanti che è stata ora unificata con una cinquantina di comuni limitrofi tutti riuniti nel progetto della “grande Algeri”. La scelta per ora non ha portato a grandi soluzioni anche se molti progetti sono sulla carta.Però qualcosa è cambiato: l”operazione “retapage” (una sorta di maquillage) avviata dal superministro che governa la “grande Algeri” non risolverà i problemi – come dicono gli algerini – ma ha abbellito la città. A cominciare dalla passeggiata al mare ricostruita con tanto di lampioni e panchine, fino a numerose piazze ristrutturate e la zona pedonale del centro dove tra una scala e l”altra ci si può fermare in piccoli bar e ristorantini oppure indugiare a guardare le vetrine. E soprattutto si può dimenticare il dramma vissuto dalla città che, nonostante le apparenze, non è ancora del tutto consumato.’

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