Una primavera di proteste sociali

L''iniziativa operaia costringe il governo a sospendere lo smantellamento delle imprese. Ma la protesta continua: da due settimane bloccati i trasporti nella capitale, in agitazione i portuali'

Una primavera di proteste sociali
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31 Marzo 1998 - 11.52


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Ogni giorno la Casa del popolo, la grande costruzione che ospita l”Unione generale dei lavoratori algerini (Ugta), è affollata di centinaia di lavoratori disoccupati o in procinto di esserlo. Molti, dicono di venire qui, per cercare di trovare delle soluzioni, altri per tentare almeno di non perdere il contatto con il mondo del lavoro. La sede si trova in un quartiere popolare a qualche centinaio di metri dalla storica piazza 1 maggio, da dove partono, o partivano visto che di questi tempi non ci sono grandi possibilità di scendere in piazza, tutte le manifestazioni. Ora, dopo che sul piazzale proprio un anno fa è stato assassinato il segretario dell”Ugta, Abdelkhader Benhamouda, la sede è protetta tutto intorno, bloccata la strada, vi si accede solo attraverso una sorta di ponte appositamente costruito. Problemi di sicurezza, ma contribuiscono a dare il segno delle tensioni che sconvolgono il paese. Non si tratta solo di terrorismo, anche se negli ultimi anni sono stati proprio i massacri dei gruppi islamici armati a costituire la preoccupazione principale. E proprio la priorità della lotta al terrorismo aveva fatto passare in secondo piano tutte le altre questioni sociali, anche importanti, come le rivendicazioni sindacali. Anche il sindacato aveva abdicato al proprio ruolo e si era sostanzialmente appiattito sul regime, tanto che erano nati, lo scorso anno, diversi sindacati autonomi e corporativi.Ora la situazione sta cambiando. Il terrorismo, che non è assolutamente eliminato ma si è temporaneamente allontanato dalla capitale, passa in secondo piano ed esplodono conflitti che erano assopiti di fronte all”emergenza della lotta quotidiana per la sopravvivenza. Ma soprattutto stanno venendo al pettine gli effetti disastrosi del piano di ristrutturazione concordato dal governo algerino con il Fondo monetario internazionale. E il sindacato, anche per la forte pressione della base, sta riassumendo il ruolo che gli compete.La sfida è stata lanciata il 9 marzo con lo sciopero del settore metallurgico, meccanico, elettrico, che ha visto l”adesione di oltre il 90 per cento dei lavoratori del settore. Ed è stato seguito da altre categorie, i lavoratori edili, innanzitutto, i più penalizzati dalla crisi: ventuno grandi imprese pubbliche nazionali sono state sciolte, come circa il 50 per cento di quelle locali, mentre numerose private sono andate in fallimento. Anche altri settori sono sul piede di guerra e dello sciopero: gli agroalimentari, i portuali, mentre i trasporti che fanno capo alla Etusa di Algeri sono bloccati da due settimane.Probabilmente è stata la minaccia dello sciopero generale ad indurre il governo a maggiore disponibilità. Il 26 marzo, in un incontro con l”Ugta, il primo ministro Ahmed Ouyahia ha infatti promesso il pagamento dei salari arretrati (molti lavoratori delle imprese pubbliche e private in crisi non prendono lo stipendio da sei mesi), la sospensione dello scioglimento di imprese o almeno di concordarne la chiusura con il sindacato, che avanza la richiesta di indennizzi per le dimissioni volontarie (pratica già realizzata in alcune fabbriche ma non ufficializzata).Naturalmente la concessione maggiore riguarda la sospensione dello smantellamento delle aziende. Ma fino a quando? Visto che era una delle misure concordate dal governo con il Fondo monetario, in un piano che viene a scadenza il mese di maggio (e che l”Algeria non sarebbe intenzionata a rinnovare, secondo le dichiarazioni del ministro delle finanze). Forse il governo sta cercando di prendere tempo per disinnescare la bomba sociale, ma la determinazione dell”Ugta ha dato qualche frutto. Anche se le promesse, come era successo con l”accordo del settembre scorso, non è detto che vengano mantenute.Di privatizzazioni si parla da tempo in Algeria, ma se si chiede che cosa è stato privatizzato nessuno sa rispondere con precisione. Si parla genericamente di un 20% di imprese, ma spesso privatizzazione è sinonimo di chiusura delle medesime. Ogni tanto sparisce qualche azienda, come è successo qualche settimana fa con le Grandi Gallerie (i grandi magazzini di Algeri) che sono state improvvisamente chiuse. La conseguenza in questi casi è che tutti i dipendenti (finora sono circa 130.000 i licenziati, ma potrebbero arrivare a 300.000 entro l”anno, secondo l”Ugta) vanno ad aggiungersi alla già affollata fila dei disoccupati (circa il 30 per cento della popolazione attiva). Il sindacato per evitare un peggioramento della disoccupazione in cambio di un blocco dei licenziamenti aveva persino rinunciato alla richiesta di aumenti salariali, un sacrificio non indifferente se si pensa che ora il salario minimo garantito è di 5.800 dinari (circa 175.000 lire) al mese, mentre l”obiettivo (per ora utopico) del sindacato sarebbe di 15.000 dinari (450.000).Naturalmente esistono imprese pubbliche assolutamente improduttive, ma altre in grado di funzionare. Il vero problema è che le privatizzazioni mettono in gioco interessi enormi e quindi conflitti tra vari clan di potere che vogliono accaparrarsi delle imprese, soprattutto in settori strategici. E questo da una parte rallenta le operazioni di smantellamento e dall”altra le fa proseguire in modo sotterraneo in modo da far trovare lavoratori e sindacati di fronte al fatto compiuto.E questo è stato possibile anche perché il sindacato, dilaniato da scontri interni, invece di mantenere il proprio ruolo in questi anni si è fatto carico dei problemi istituzionali (rinunciando a proteste radicali finché non si fosse riempito il vuoto istituzionale provocato dall”interruzione del processo elettorale, nel gennaio del 1992, l”Ugta nel 1995 aveva persino dato indicazione di voto per il presidente Zeroual) ed economici, non opponendosi in modo significativo agli accordi capestro con il Fondo monetario. Ora forse è tardi. E anche i risultati vantati dal governo e che avrebbero “giustificato” l”austerità non sono più credibili.Il bilancio del 1997 aveva presentato un surplus di 5,5 miliardi di dollari e le riserve in valuta ammontavano a 8,5 miliardi di dollari (grazie all”esportazione di idrocarburi). Ma queste riserve rischiavano di essere dimezzate dal crollo del prezzo del petrolio, sceso al di sotto dei 12 dollari, prima che, il 22 marzo, Arabia saudita, Venezuela e Messico decidessero una riduzione della produzione che ha riportato il prezzo del barile del greggio a 15 dollari.Il problema è che queste riserve non sono state investite e quindi come contraltare si è rilevato, nel secondo semestre del 1997, un crollo della crescita globale a meno il 2 per cento, ancora più grave nel settore industriale, meno 7,2 per cento.Anche l”inflazione, ufficialmente, è stata contenuta, il 7 per cento, ma l”aumento è stato superiore per i beni di prima necessità e questo ha colpito pesantemente i settori meno protetti della popolazione.Oltretutto, anche in un paese dove la popolazione è essenzialmente giovane (il 70 per cento degli algerini ha meno di trent”anni), una nuova fonte di preoccupazione riguarda il prosciugamento della Caisse nationale des retraites (Cnr) e quindi i pensionati rischiano anche di perdere quei quattro soldi cui hanno diritto dopo 32 anni di lavoro.Tuttavia la ripresa di iniziativa del sindacato è vista positivamente dai lavoratori e anche dalla popolazione che nell”Ugta ha sempre avuto un punto di riferimento anche politico importante, ma che sembrava venuto meno negli ultimi tempi. Tra l”altro, la perdita di un leader carismatico come Benhamouda aveva inferto un brutto colpo.Un fatto ancora più significativo, e nuovo rispetto al passato, è l”assenza degli islamisti da queste lotte operaie.’

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